Il Duomo di Montepulciano

Testo di Remigio Presenti
Premessa di Carlo Prezzolini

Quassù in alto, sulla sommità del Sasso…

Quassù, nella sommità del Sasso su cui sorge Montepulciano, al confine fra la piatta Valdichiana e la più articolata Val d’Orcia, con sullo sfondo i giganti del Cetona e dell’Amiata.

La Valdichiana: terra contesa fra i bacini dell’Arno e del Tevere, ricca di agricoltura, di strade e di traffici in epoca etrusco-romana, poi, con la fine della civiltà classica, intristita zona di paludi, di acque morte, spazio di conquista per le vicine città di Orvieto, Siena e Perugia, eppoi Firenze; terra di confine, e quindi strategicamente importante, fra le Repubbliche di Siena e Firenze e lo Stato della Chiesa. Nella storica contesa fra i vescovi di Arezzo e di Siena per il controllo di una vasta zona che chiude a sud le mire del presule senese, è documentato fin dal 714 un castello, il Castrum Policianum, proprio nella sommità del Sasso, con la sua pieve di Santa Maria posta fuori le mura. Il castello diventa libero Comune nel XII secolo e viene a lungo conteso fra Senesi e Fiorentini per la sua posizione strategica. Alla fine sarà Firenze il centro di attrazione di Mons Politianus, come raccontano le forme del palazzo Comunale e tante altre opere architettoniche e di arte figurativa che arricchiscono il centro.

E sulla sommità del Sasso si forma la piazza medievale, luogo del potere civile e religioso, con il palazzo comunale e la nuova pieve traslata dentro le mura, luogo del mercato, degli avvenimenti e della vita quotidiana della Comunità. Con l’ingrandimento del castello, che avviene seguendo il crinale del colle verso la valle, l’animazione della vita quotidiana e il mercato si spostano più a valle. Alla Piazza Grande, solitaria nell’alto dell’abitato, restano le funzioni ufficiali di rappresentanza, le sedi del potere civile e religioso eppoi diventa luogo privilegiato delle residenze nobiliari, realtà che le donano una nuova monumentalità nel periodo rinascimentale e barocco. Il palazzo comunale, che ricorda il Palazzo Vecchio di Firenze, viene ricostruito a metà Quattrocento quasi certamente su progetto di Michelozzo; di fronte il palazzo Del Monte-Contucci, in sobrie forme cinquecentesche, è di Antonio da Sangallo il Vecchio. Il monumentale palazzo De Nobili-Tarugi, con loggia e classiche semicolonne che formano un ordine gigante, e il più sobrio palazzo del Capitano del Popolo, di origini medievali, chiudono la Piazza Grande a mezzogiorno. Sempre in questo lato un elegante pozzo con due colonne che reggono l’architrave con lo stemma dei Medici con leoni e grifi, simbolo di Montepulciano, orna il vasto spazio. La piazza era, ed è chiusa, verso la sommità del colle, dall’edificio più importante della città cristiana: l’antica pieve romanica di Santa Maria, con fonte battesimale e cimitero, a cui succede la grandiosa mole della cattedrale dedicata all’Assunta.

Ancora oggi la Piazza è sede dell’autorità pubblica, il Comune, e dell’autorità ecclesiastica, con la cattedrale e il palazzo vescovile. Ancora oggi la Piazza è luogo di rappresentanza e di spettacolo: è qui che terminano le più importanti processioni, e qui che arrivano il corteo storico e la gara del Bravio, gara di forza di resistenza e di abilità, con robusti sfiniti giovani, una piccola squadra per ognuna delle otto contrade, che spingono una botte per l’asse viario del centro storico. Ed è qui, con la non finita facciata della cattedrale come sfondo, che si mette in scena il Bruscello, antica forma di teatro popolare, e il concerto di chiusura del Cantiere internazionale d’arte.

… nella Piazza Grande…

Parte integrante della Piazza è la cattedrale di S. Maria Assunta, frutto di secolari lavori, costruita, dopo l’erezione della nuova diocesi poliziana (1561), al posto dell’antica pieve romanica.

Il ricordato documento del 714 elenca fra le chiese battesimali contese al vescovo di Arezzo da quello di Siena S. Mater Ecclesia in Castello Pulliciano, che probabilmente era situata dove oggi si trova il tempio di S. Biagio. Dopo il 1000, crescendo l’importanza del castello, la dignità pievana viene portata dentro le mura, al centro dell’insediamento fortificato. La pieve è una chiesa con fonte battesimale e cimitero e con importanti funzioni di organizzazione civile.

Nel 1400 papa Bonifacio IX concede all’arciprete di Santa Maria l’uso della mitria e del pastorale, che sono il copricapo ed il bastone dei vescovi e degli abati; nel 1480, con bolla di Sisto IV, la pieve viene soggetta direttamente alla Santa Sede e nell’occasione viene insignita della dignità di chiesa collegiata, sede cioè di un gruppo di preti, detti canonici. Il grandioso trittico di Taddeo di Bartolo (1401), oggi sull’altare del duomo, ci mostra S. Maria in forme romaniche, con tre navate concluse da tre absidi semicircolari e campanile a vela, collocata nella zona dell’attuale scalinata e sacrato della cattedrale.

L’antica pieve era costruita secondo il classico orientamento est-ovest, con le absidi e il presbiterio rivolti verso il sole nascente, la cui luce, simbolo del Cristo risorto, illuminava la comunità cristiana in preghiera. Dopo il 1460 la pieve viene dotata di una nuova, alta torre campanaria in cotto e travertino, che ancora oggi svetta a fianco della facciata del duomo. Una data molto importante per Montepulciano è l’erezione della diocesi, avvenuta nel 1561 da parte di papa Pio IV, che porta al centro la dignità di città e la presenza di una curia vescovile.

Si fa pressante la necessità di costruire una nuova chiesa, sede della cattedra del Vescovo come successore degli apostoli; ma la costruzione può iniziare solo dopo il 1590, con il completamento del tempio di San Biagio. I lavori, su progetto dell’orvietano Ippolito Scalza, durano a lungo e la nuova cattedrale viene inaugurata solo nel 1680, riutilizzando la vecchia torre campanaria e con la facciata non finita. La costruzione del nuovo duomo, portò alla demolizione oltre che dell’antica pieve anche del cimitero, del palazzo arcipretale e di altri luoghi annessi a Santa Maria. L’asse del nuovo duomo risultò orientato in direzione nord-sud.

…la cattedrale… 

La mole della cattedrale chiude verso nord la Piazza Grande. La rustica facciata non finita si eleva sopra una ampia scalinata ed è affiancata, a sinistra, dall’alto parallelepipedo del campanile, in mattoni con gli angoli in bozze di travertino, ornato in sommità dalle slanciate bifore della cella campanaria. I prospetti laterali della chiesa riprendono il delicato bicromatismo della torre campanaria: le superfici in mattoni sono ritmate da snelle lesene, su un alto basamento e delimitate da un’alta cornice di gronda sagomata, che affiancano archi sagomati a tutto sesto; queste decorazioni plastiche sono tutte scolpite nel travertino.

La forma a salienti della facciata e i tre portali di ingresso ci annunciano che l’interno del duomo è organizzato in tre navate, chiaro riferimento simbolico al mistero della Santissima Trinità, del Dio cristiano che è comunione d’amore composta da Tre Persone della stessa sostanza. Anche la pianta della chiesa è fortemente simbolica: due ampi bracci laterali le fanno assumere la forma di croce, con evidente riferimento alla morte redentiva di Gesù Cristo.

Le navate sono divise da pilastri cruciformi collegati da archi a tutto sesto, motivo che ripropone il ritmo delle facciate laterali; sopra i pilastri, l’alta e pronunciata trabeazione sorregge una ampia volta a botte, ritmata da costoloni trasversali. La decorazione dell’interno ripropone una nuova versione del bicromatismo: gli elementi strutturali e decorativi, in travertino dipinto come pietra arenaria, sorgono su un fondo a intonaco chiaro. Ai lati dell’ampia navata centrale si aprono le navate laterali, coperte da volte a crociera e chiuse, verso l’esterno, da cappelle gentilizie voltate a botte.

Il solenne ritmo dei pilastri e degli archi della navata centrale è come un invito a mettersi in cammino verso l’altare centrale, dove l’occhio è attirato dalla magia dei colori del raffinato e monumentale trittico di Taddeo di Bartolo. L’andare dei pellegrini verso l’altare, dove viene perennemente fatta memoria della Santa Cena del Signore, si trasforma in una fuga mistica verso l’alto, attratti dalla luce della cupola eretta all’incrocio fra la navata centrale ed il transetto.

Le braccia del transetto sono coperte da volte a crociera e a botte e sono impreziosite da due grandiosi altari barocchi in marmo. L’altare maggiore, composto da parti del monumento funebre scolpito da Michelozzo, ha come sfondo un ampio coro semicircolare, con la cantoria e l’organo, che anticamente ospitava il capitolo dei canonici, per la preghiera liturgica che ritmava le ore del giorno, e il coro della cattedrale.

di Remigio Presenti 

L’attuale duomo, o cattedrale, di Montepulciano fu costruito, con notevole sforzo economico, nel corso di quasi un secolo, dal 1594 al 1680. L’edificio precedente era una chiesa romanica, sede di arcipretura con collegiata, risalente al XIV secolo; occupava all’incirca lo spazio dell’attuale gradinata, o poco più; il campanile, che oggi occupa il lato sinistro, costruito nel XV secolo, era appoggiato all’abside della vecchia chiesa. Nel 1561, per l’impulso determinante del duca di Toscana Cosimo II de Medici, nonché del cardinale Giovanni Ricci, di origini poliziane e con notevole influenza alla Corte Pontificia, Montepulciano fu creata diocesi autonoma, separandola dall’antica diocesi di Arezzo, con l’aggiunta di una parte di quella di Chiusi; e precisamente, la rocca di Valiano col suo territorio. A partire da quell’anno si cominciò a pensare ad una nuova chiesa, più ampia e più degna della diocesi appena fondata. Nella stessa bolla di fondazione si accenna discretamente a tale necessità: «Il vescovo – suggerisce il documento – se ce n’è bisogno, adatti la sua struttura (della precedente chiesa) in forma di cattedrale». Ma il vescovo Spinello Benci, benché di nobile famiglia poliziana, si trovava in difficoltà economiche, come attesta il cardinal Ricci in una lettera al duca Cosimo II. Solo nel 1583-84, afferma l’architetto Alessandro Piccardi, il vescovo cominciò a pensare concretamente alla nuova chiesa, iniziando con l’abbattere la vecchia sacrestia e la libreria, per far posto ai pilastri del nuovo edificio. Ma dopo alterne vicende ed inutili spese, soltanto nel 1594, su progetto definitivo di Ippolito Scalza, di Orvieto – scartato quello inadeguato dell’Ammannati – si dette l’avvio al nuovo duomo. Il progetto era stato debitamente approvato dal granduca Ferdinando I; ma il vescovo, ritenendosi esautorato e preoccupato della spesa a suo parere eccessiva, rifiutò il suo assenso ed anche il contributo economico annuale di cento scudi, a cui si era impegnato. Qualche anno dopo, nel 1596, partì per la Francia, in compagnia del suo amico, cardinale Alessandro Medici, inviato là come legato pontificio. In quello stesso anno, il 10 agosto, morì a Parigi e lì fu sepolto.

Sotto il nuovo vescovo, Sinolfo Benci, i lavori proseguirono piuttosto stancamente, soprattutto per le persistenti difficoltà economiche. Un deciso impulso alla costruzione fu dato dal motu proprio, promulgato nel 1612 dalla granduchessa Cristina di Lorena, rimasta vedova e signora di Montepulciano. Con tale documento confermò Guido Nobili, che si era dato da fare fra l’altro per contattare l’architetto Scalza, alla guida della Fabbrica del duomo, affiancandogli però «un camarlingo e un provveditore» e stabilendo in modo più tassativo le contribuzioni a carico della Comunità e delle varie istituzioni, sia laiche che religiose. Suggerì fra l’altro che si vendessero le cappelle in costruzione alle varie famiglie che ne facessero richiesta, dietro congrua offerta. Fra gli offerenti illustri ci furono due membri di due diversi rami della famiglia Bellarmini, che «comprarono» la prima e la seconda cappella di sinistra; lo stesso cardinal Bellarmino impegnò per la decorazione della prima delle due cappelle, comperata da suo fratello Tommaso, almeno seicento scudi, come attesta in una sua lettera del 1616. Così, il 28 agosto del 1616, ci informa un’importante iscrizione murata al di sopra della porta sinistra della cattedrale, la parte già costruita della nuova chiesa – attuale navata sinistra – chiusa con muri da arco ad arco sul lato destro, fu inaugurata solennemente come cattedrale provvisoria dal vescovo di Pienza, essendo il vescovo di Montepulciano, Roberto Ubaldini, assente dall’Italia.

Ma per il completamento della cattedrale e del nuovo palazzo vescovile, che sorge nel retro, dovevano passare molti anni ancora. Il merito della conclusione dei lavori spetta ad Antonio Cervini, vescovo dal 1663 al 1706; l’inaugurazione del duomo ormai completato avvenne nel 1680, ad opera del Cervini stesso. Negli anni successivi, forse nel 1696, come fa supporre la lapide del palazzo, il vescovo poté finalmente abitare nel nuovo edificio; abbiamo notizia che i vescovi precedenti, se non erano poliziani, abitavano in palazzi d’affitto. I vescovi poliziani, invece, come i Benci e i Cervini, abitavano sicuramente nei loro rispettivi palazzi, ancora esistenti a Montepulciano. Nella nuova chiesa furono ricollocate, in periodi diversi, buona parte delle opere d’arte provenienti dalle vecchia pieve.

Il monumento a Bartolomeo Aragazzi, umanista e diplomatico pontificio

La più importante opera d’arte del duomo è sicuramente il monumento funebre all’umanista e diplomatico pontificio Bartolomeo Aragazzi, che fu smembrato ai primi del Seicento, quando si dovette abbattere la vecchia chiesa; e non fu più ricomposto. È opera dell’architetto e scultore fiorentino Michelozzo Michelozzi (1396-1472), autore anche della facciata del vicino palazzo comunale. Il monumento, commissionato allo scultore dallo stesso Bartolomeo, fu completato solo nel 1438, a circa dieci anni dalla morte di lui. L’opera d’arte proviene dall’antica pieve ed era collocata a destra dell’altar maggiore, impedendo una dignitosa celebrazione della Messa; questo almeno era il parere del vescovo Angelo Peruzzi, inviato come visitatore apostolico della diocesi, nel 1583. Ne parla ampiamente Ilaria Iarrapino, nel suo accurato studio sul monumento. Demolita la pieve, il monumento fu collocato, nei suoi elementi più importanti, sul lato destro della navata sinistra della nuova chiesa, che servì per molti anni da cattedrale. Attualmente le parti del monumento che restano sono: 1) La statua giacente di Bartolomeo, sul muro a sinistra della porta principale; vi fu collocata nel 1815, come dice l’iscrizione latina sovrastante, ripresa in parte dall’epigrafe in bronzo facente parte del monumento; 2) due bassorilievi, uno sul pilastro di fronte alla statua, l’altro nell’altro pilastro di destra; 3) due grandi statue, in marmo, collocate oggi ai lati dell’altar maggiore e rappresentanti due angeli portacandelabro (quello di destra è S. Michele); 4) un grande altorilievo, murato sul pilastro a destra dell’altar maggiore; secondo i più recenti studi è un Cristo benedicente, collocato in origine al centro del monumento, al di sopra della statua dell’Aragazzi; sul petto ci sono tracce di colore rosso, forse ad indicare la ferita del costato; sul gradino più alto dell’altar maggiore c’è inoltre 5) un fregio, con putti e festoni di foglie e frutta, collocate in origine alla base del monumento. Facevano parte del complesso scultoreo anche 6) due angeli in bassorilievo, a mezzo busto, collocati in origine ai lati del Cristo benedicente; oggi sono nel museo “Victoria and Albert”, di Londra, venduti abusivamente, sembra, alla fine dell’Ottocento. L’opera è di importanza eccezionale perché rivestì un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei sepolcri rinascimentali fiorentini.

Prima Cappella di sinistra

Questa cappella, agli inizi della costruzione del duomo (1616), fu dedicata a S. Tommaso apostolo; era sotto il patronato della famiglia Bellarmini, come testimonia anche l’iscrizione sulla parete destra della cappella stessa. Nel 1816, per volere del vescovo Carletti, essa fu adattata a battistero, trasferendovi il fonte battesimale della vecchia pieve, prima sistemato in una cappella esterna, sul lato destro del duomo, oggi in disuso. Vi furono collocate anche le statue di S. Pietro e S. Giovanni Battista; questa seconda statua tiene fra le mani un cartiglio con l’iscrizione, in latino, che riproduciamo tradotta: «Io (sono) la voce di chi grida nel de(serto)». Sul fonte e sulle statue lo studio più recente è quello di Giorgia Scarpelli. Il fonte battesimale, in marmo, è opera dello scultore senese Giovanni d’Agostino, risale al sec. XIV; sul bordo, nella parte anteriore, è raffigurato il battesimo di Gesù; sul fusto sono raffigurati gli apostoli Pietro, Giovanni Evangelista e, sul retro, S. Giovanni Battista. Le due statue sono opera di un altro scultore della medesima famiglia senese, Domenico d’Agostino. Opera di questo scultore, secondo la Scarpelli, sarebbe anche la statua giacente di vescovo, collocata al lato destro della porta centrale; nell’iscrizione soprastante essa è indicata come simulacro del vescovo di Arezzo, Francesco Piendibeni, originario di Montepulciano, dove anche morì e fu sepolto. Se fosse di Domenico d’Agostino, sarebbe stata usata per il monumento del Piendibeni, morto nel 1433, una statua risalente al secolo precedente, collocata in origine nella vecchia pieve. Anche il Cristo in pietà fra due angeli, attualmente nella cappella del palazzo vescovile, è forse di un membro della famiglia, Agostino di Giovanni.

L’Altare dei gigli e la Madonna del Maestro di Pio II

Nella cappella, ormai diventata battistero, fu collocato nel 1937 anche il bassorilievo in terracotta invetriata, detto Altare dei gigli, che ha avuto nei secoli varie collocazioni; ma era stato creato per il convento di Fontecastello, esistente fin dal 1481, secondo lo storico poliziano Parigi, ad oriente di Montepulciano e che successivamente era andato distrutto. Delle vicende di questo bassorilievo, di Andrea della Robbia, risalente ai primi anni del 1500, parla Antonio Sigillo; ricorda in particolare che fu commissionato dai “Signori Montepulcianesi” per il suddetto convento, forse anche per incorniciare, nella nicchia centrale, la Madonna con Bambino e angeli; comunque, almeno a partire dalla fine del sec. XVIII, la piccola opera vi era inclusa. Questo bassorilievo, detto Madonna di Pio II, fu forse donato al convento di Fontecastello dallo stesso Papa, poco dopo la metà del sec. XV: c’è alla base lo stemma del Piccolomini, sorretto da due putti. Nella lunetta soprastante dell’altare robbiano è rappresentata l’Annunciazione; ai lati della nicchia oggi vuota vi sono quattro santi: il primo da sinistra è identificabile con S. Stefano protomartire, di cui esisteva, ad occidente della città, in Canneto, una chiesa a lui dedicata e retta dai monaci dell’Abbadia San Salvatore; accanto c’è S. Domenico, riconoscibile dal sole in fronte: Fontecastello era infatti vicino alla chiesa domenicana di S. Agnese. Gli altri due santi a destra sono sicuramente francescani: S. Chiara e S. Bernardino da Siena, rappresentato talvolta anche con la croce, come qui, oltre che col monogramma IHS. Sarà utile sapere che il convento era stato affidato dal comune di Montepulciano ai francescani dell’Osservanza, di cui S. Bernardino era stato un forte promotore. Nella vetrata soprastante, disegnata dal senese Fiorenzo Ioni e realizzata a Siena nel 1962, in occasione del quarto centenario della diocesi di Montepulciano, per iniziativa del vescovo Emilio Giorgi, è raffigurato il beato poliziano Francesco Cervini.

Seconda Cappella di sinistra

Questa cappella è dedicata a S. Girolamo; fu acquistata dagli eredi di Monaldo Bellarmini, come confermato dallo stemma di famiglia – sei pigne a triangolo rovesciato – alla base delle due colonne. La tela dell’altare è stata recentemente attribuita, da Laura Martini, della Soprintendenza di Siena, al senese Annibale Mazzuoli.

In questa cappella è stata, da qualche anno, collocata la statua in legno di S. Roberto Bellarmino, di ignoto artigiano tirolese, trasferendola qui dalla cappella destra del transetto, dove impediva la visione della bella pittura, prima non più leggibile ma ultimamente (anno 2002) restaurata. La statua fu commissionata dal vescovo Emilio Giorgi, nel 1942-43, nell’ambito delle celebrazioni del 4° centenario della nascita del santo poliziano. La vetrata rappresenta il beato Matteo Benci ed è stata disegnata, come quelle delle altre cappelle, dal senese Fiorenzo Ioni, in occasione del 4° anniversario della fondazione della diocesi.

Terza Cappella di sinistra

Questa cappella è dedicata a S. Sebastiano; fu «acquistata» fin dal 1616 dalla famiglia Gagnoni, i cui stemmi si trovano alla base delle colonne dell’altare. Il Santo era venerato, insieme a S. Rocco, come protettore contro la peste. Il quadro dell’altare è attribuito al senese Vincenzo Rustici e risale agli anni 1618-20; altri l’attribuiscono a un Vanni. Nella parete destra fu collocata in seguito anche una tela raffigurante S. Cecilia, opera del pittore poliziano Bartolomeo Barbiani; è datata 1635. La vetrata è del senese Fiorenzo Ioni e rappresenta il beato Niccolò Alessi.

Quarta Cappella di sinistra

La cappella è dedicata a S. Caterina di Alessandria, qui vestita da principessa, legata e prossima alla morte per decapitazione; dall’alto un angelo le offre la palma del martirio. La cappella era sotto il patrocinio delle famiglie Cocconi e Mattioli. Alla base delle colonne dell’altare ci sono i loro due stemmi accoppiati, un montone e un caprone. La tela, secondo Martini, è da attribuire ad Annibale Mazzuoli, autore anche del bel quadro della cappella Parri, datato 1692. Nella vetrata, di Fiorenzo Ioni, è rappresentato il beato Bartolomeo Pucci Franceschi, poliziano.

La Madonna del Pilastro

Nel quarto pilastro, che divide la quarta dalla quinta cappella, è collocata una moderna riproduzione a tempera della Madonna del pilastro; è opera recente della pittrice A. Bagiardi Moroni; l’originale si trova al museo civico. La piccola, ma elegante pittura è di Sano di Pietro, buon pittore senese; una sua grande tavola – Madonna con Bambino e Santi – si trova nella cattedrale di Pienza (in ambedue il Bambino tiene in mano un uccellino). La  tempera risale presumibilmente al tempo in cui Pio II fece costruire la sua cattedrale, fra il 1459 e il 1463, mentre il poliziano Fabiano Benci era arciprete della pieve di Santa Maria. La tavola è contenuta in un elegante tabernacolo di gusto rinascimentale, con al centro un Cristo benedicente. Nel coronamento ci sono due stemmi; uno è del Benci: tre rose divise da una fascia trasversale.

Quinta Cappella di sinistra

La cappella è dedicata a S. Francesco Saverio e S. Michele arcangelo, sullo sfondo. Il santo gesuita porta una croce e vicino alla sua bocca c’è una scritta: «Passio Domini = passione del Signore». Il patrocinio è delle famiglie Cocconi e Avignonesi, i cui stemmi sono sulle basi delle colonne dell’altare. Martini attribuisce il quadro al senese Raffaello Vanni (1595-1673), pittore piuttosto famoso. Nella vetrata, ancora dello Ioni, è rappresentato il beato Filippo Avignonesi.

Sesta Cappella di sinistra: Cappella della Madonna di San Martino

La sesta cappella è dedicata alla Madonna di S. Martino, pittura parietale qui trasportata nel 1617, mentre si costruiva la prima navata della cattedrale. Riportiamo parte di un’iscrizione latina, esistente sulla parete sinistra: «Per i meriti di un prodigio / qui dalla rustica sede la pietà poliziana / trasferì la sacra immagine / nell’anno dell’era cristiana 1617». La data del prodigio viene fissata da A. Parigi a «circa il 1580». Il racconto in sintesi è questo: «All’oriente estivo di Montepulciano, lungo la via detta oggidì della querce, fu già sul muro di un rustico cancello una maestà ossia tabernacolo in cui eravi dipinta a fresco una immagine di nostra Donna col bambino Gesù in atto di abbracciare il Battista». Il racconto prosegue affermando che il cancello immetteva in alcuni terreni appartenenti all’ospedale di S. Martino, cosicché anche la Madonna era detta di “S. Martino”. Davanti a questa immagine giocava a pallamaglio, con alcuni compagni, un certo Vincenzo del Mincio; poiché perdeva al gioco si arrabbiò tanto da colpire col maglio la Vergine alla fronte, procurandole un livido visibile anche oggi; il giocatore, secondo il popolare racconto, fu colpito da «morbo apoplettico». Trattano del fatto anche le due iscrizioni sui due lati dell’altare della cappella. Altre due iscrizioni si trovano ai due lati dell’altare della settecentesca chiesa di S. Martino, sulla strada che conduce a Cervognano, affiancate da bassorilievi in stucco che illustrano il racconto. La fede popolare interpretò il fatto come miracoloso e l’immagine cominciò ad essere intensamente venerata. Allora il Comune chiese ed ottenne dal vescovo l’autorizzazione a trasportare la sacra immagine nella sesta cappella del duomo; un bell’altare in marmo, su disegno dello Scalza, fu rapidamente costruito, per onorare degnamente la Santa Vergine. A giudizio della Martini, l’opera era finita entro i primi quarant’anni del Seicento. Alla base delle colonne ci sono lo scudo bianco-rosso e il grifo, del comune di Montepulciano, insieme alla sigla dell’Opera. Ai due lati della Madonna vi sono, nelle nicchie, le statue in gesso dei santi Francesco e Bernardo di Chiaravalle, devotissimi della Vergine. Nella finestra soprastante è stata collocata, nel 4° centenario di fondazione della diocesi, (1961), una vetrata rappresentante S. Agnese poliziana.

Settima Cappella di sinistra

E’ dedicata alla Deposizione di Gesù. Il patrocinio era della famiglia Bellarmini, come si rileva da varie visite pastorali. Nella visita del 1696 il vescovo Antonio Cervini menziona esplicitamente il dipinto della Deposizione; il patrono era a quella data Antonio Bellarmini. La tela era forse già in possesso della famiglia, come ipotizza la Martini, o fu comperata appositamente; l’autore è Leandro da Bassano ed è una replica fedele di un dipinto esistente al museo del Louvre.Questo altare, unico in tutta la chiesa, non ha alla base delle colonne gli stemmi patronali, forse perché per molti anni espletò la funzione di altare maggiore, non essendo stata ancora completata la cattedrale; non era opportuno perciò che fosse identificato come altare di una sola famiglia.

Altare Maggiore del Duomo

L’attuale altare maggiore in marmo fu fatto costruire dal vescovo Emilio Giorgi nel 1945, al posto del precedente altare, in finto marmo e risalente al Seicento. Il trittico vi era già stato collocato nel 1888, trasferendolo qui dalla controfacciata della cattedrale. Ecco l’epigrafe che fece porre il Giorgi sul retro dell’altare: «Questo altare marmoreo / a Dio Ottimo Massimo / in onore della B.M. Vergine assunta in cielo / costruito con denaro offerto / Emilio Giorgi vescovo poliziano / il 12 agosto 1945 / consacrò». Ai due lati dell’altare ci sono due statue di marmo, rappresentanti due angeli, parti del Monumento Aragazzi. Ultimamente è stato collocato, sul pilastro a sinistra dell’altare, un bel crocifisso rinascimentale proveniente dalla chiesa di S. Agostino; sul pilastro di destra è murato un piccolo tabernacolo in marmo risalente al XIV secolo: rappresenta in modo schematico la facciata di una chiesa gotica.

Il Trittico di Taddeo Bartolo

La cosa più imponente e di maggior richiamo del duomo è sicuramente il trittico, del senese Taddeo di Bartolo, datata 1401: è la più grande pittura su tavola di tutta la scuola senese. Il trittico è suddiviso in tre parti e coronato da tre tavole cuspidali. In basso c’è una doppia predella, con raffigurazioni della vita di Cristo e, al di sopra, dodici piccole formelle che illustrano episodi del Vecchio Testamento, scelte sicuramente con riferimento alla vita della Madonna. Nei quattro pilastri divisori sono raffigurati i quattro evangelisti ed altri scrittori e dottori della Chiesa.

Per comprendere bene la grande tavola nel suo insieme dobbiamo necessariamente far ricorso ad alcuni scrittori apocrifi, in questo caso le «apocalissi», a cui non di rado gli artisti medievali si ispiravano per comporre le loro opere. Al centro in basso vediamo il sepolcro vuoto di Maria, con intorno gli apostoli che guardano. Al di sopra c’è Maria che sale al cielo e l’apostolo Tommaso, con le braccia alzate, nell’atto di prendere il cingolo, o cintura, che la Vergine lascia cadere per lui. Ci sono una ventina di apocrifi che trattano l’argomento; noi abbiamo utilizzato la variante latina A, del VI secolo d.C. Dice il testo, tradotto in italiano: «Tre giorni prima che (la Vergine Maria) morisse andò da lei l’angelo del Signore e la salutò dicendo: – Salve, Maria, piena di grazia; il Signore è con te… Prendi questa palma che ti manda il Signore… Di qui a tre giorni avrà luogo la tua assunzione –». Non è la solita Annunciazione, ma l’annuncio della sua morte e la palma è un segno di vittoria e un premio. Anche la parte centrale del trittico, con la Madonna che sale al cielo, lasciando cadere il suo cingolo, è spiegata dal suddetto apocrifo: «A sua volta il beato Tommaso… riferì… come la parola di Dio lo avesse trasportato sul monte degli Ulivi dove vide salire al cielo il santissimo corpo della beata Maria e le chiese di dargli una benedizione; e come ella avesse esaudito la sua applica e gli avesse gettato il cordone che la cingeva; e fece vedere il cordone a tutti (gli apostoli)». Questo racconto dettagliato chiarisce bene il significato del trittico, altrimenti incomprensibile. Si può aggiungere che un famoso cingolo è custodito in una teca d’argento, nel duomo di Prato; secondo la tradizione, sarebbe quello lasciato dalla Madonna a S. Tommaso e che fu trasportato più di mille anni dopo a Prato, da un mercante di ritorno dall’oriente. C’è poi una tavola al centro fra le due cuspidi laterali, che raffigura l’Incoronazione della Vergine. Questa pia tradizione di rappresentare la Vergine è molto antica; infatti «agli inizi dell’arte cristiana, in particolare a partire da Ravenna nel V-VI secolo, con i mosaici della Basilica di Sant’Apollinare nuovo troviamo l’effigie di Maria raffigurata già come regina».

Ottava Cappella di destra

La cappella a destra dell’altare maggiore è l’ottava, ed era in origine dedicata a S. Anna. Ne è patrona la famiglia Bracci, il cui stemma è alla base delle colonne. La grande e bella tela, restaurata dalla poliziana Mary Lippi, è copia di un dipinto di Andrea Sacchi, esistente nella chiesa romana di S. Carlo ai Catinari, eseguito da qualche suo allievo. La cappella, divenuta sede del SS.mo Sacramento, fu decorata a colori e chiaroscuro dal milanese Luigi Ademollo negli anni 1840-42. Le pitture rappresentano: al centro della volta, a colori, la discesa della Spirito Santo; a destra, in chiaroscuro, le tavole della legge; a sinistra, in chiaroscuro, Abramo si appresta a sacrificare Isacco; in basso, a destra, il grande affresco della Natività; nella parete opposta, di sinistra, l’affresco dell’Ascensione al cielo; nei medaglioni: a destra, in chiaroscuro, l’arca dell’alleanza – catturata in guerra dai filistei – fa cadere a pezzi la statua del loro dio Dagon; nel medaglione di sinistra, in chiaroscuro, è rappresentato il sacrificio di Melchisedech; all’ingresso della cappella, sui piedritti dell’arco: a destra, la Resurrezione e l’angelo annuncia la Resurrezione alle tre Marie; a sinistra, la cena di Emmaus e Gesù mostra a Tommaso il costato.

Nona Cappella di destra

La cappella fu costruita con il generoso lascito del poliziano Niccolò Parri, «giurista peritissimo» della Curia romana e del Granduca di Toscana, come recitano le lapidi della cappella stessa. La tela dell’altare, firmata e datata Annibale Mazzuoli 1692, rappresenta la Natività, con alcuni santi in basso: sono – si desume dal testamento Parri – da sinistra, S. Girolamo, S. Antilia – patrona di Montepulciano – S. Nicolò di Bari, S. Francesco, S. Liberio, S. Agnese poliziana. Nelle nicchie sono collocate le due statue in gesso di S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista. Al sontuoso altare lavorarono vari membri della famiglia senese Mazzuol. Nella vetrata è raffigurato S. Roberto Bellarmino, teologo e dottore della Chiesa.

Decima Cappella di destra

La cappella è dedicata all’Annunciazione, con la bella tela di Raffaello Vanni; tale pittore ha lasciato alcune opere anche nella chiesa poliziana di S. Agostino. Il patronato era della famiglia Rughesi. Nella vetrata è raffigurato il beato Pangino Benincasa.

Undicesima Cappella di destra

E’ dedicata alla santa poliziana Agnese Segni; ne sono patroni le famiglie Avignonesi e Lorenzini, i cui stemmi uniti sono alla base della colonna sinistra. La tela dell’altare è stata recentemente attribuita ad Annibale Mazzuoli; rappresenta una visione di S. Agnese, desunta dalla sua vita. Tre santi, S. Domenico, S. Agostino e S. Francesco la invitano a salire sulla loro barca, cioè ad entrare nel loro ordine; la Santa sceglie l’ordine domenicano. Una scena analoga, a cui forse si è ispirato il suddetto pittore, è affrescata nel chiostro di S. Agnese, nella lunetta diametralmente opposta all’ingresso del convento. Tale affresco risale a circa cento anni prima della tela del duomo, precisamente al 1603, ed è di Ulisse Giocchi del Monte.

Dodicesima Cappella di destra

Questa cappella è dedicata a S. Giuseppe e alla Sacra Famiglia. Il patronato era delle famiglie Venturi e Rampini. La tela d’altare, secondo Laura Martini, è da attribuire per la parte centrale al pittore senese Giovanni Paolo Pisani, completata nella parte superiore da altro pittore di minor valore. Alla parete destra è appesa una tavola di S.Vincenzo Ferrer, proveniente dalla demolita pieve medievale; è di scuola fiorentina e risale alla seconda metà del 1400. Nell’aureola del Santo si può leggere la scritta: «Timete Deum quia venit hora iudicii eius, (Temete Dio perché è giunta l’ora del suo giudizio)». Alla parete sinistra è appesa una tela che raffigura Cristo in piedi, con la croce, che versa dalla mano destra del sangue in un calice (Effusio sanguinis), proveniente dall’altare della Compagnia del Sacramento, eretta in altra cappella della cattedrale fin dal 1569; è attribuita a Michele di Ridolfo, manierista fiorentino della cerchia del Vasari. Nella vetrata è raffigurato il beato Giacomo del Pecora, religioso domenicano.

Tredicesima Cappella di destra

La cappella è dedicata a S. Gaetano di Thiene, rappresentato nell’atto di ricevere dalla Madonna il Bambino Gesù. Ne è patrona la famiglia Bucelli, come attesta anche il loro stemma alla base della colonna sinistra; nella colonna destra c’è invece lo stemma della famiglia senese d’Elci, legata probabilmente per parentela ai Bucelli. La pittura dell’altare è attribuita ad Annibale Mazzuoli. Nel lato sinistro c’è il sepolcro e il busto in bronzo del vescovo Emilio Giorgi (1933-1964), eseguito poco dopo la sua morte dallo scultore poliziano Giovanni Meloni. A destra, stemma e sepoltura del vescovo Alberto Giglioli (1970-2000). Nella vetrata è raffigurato il beato Giovanni Martinozzi, martirizzato in Egitto nel 1343.

Quattordicesima Cappella di destra

È la cappella del Crocifisso, di cui è ignoto l’autore. Il patrocinio è della famiglia Tarugi. La vetrata, disegnata come tutte le altre dal pittore senese Ioni nel quarto centenario della diocesi, rappresenta il beato Bartolomeo Tarugi. Nella parete sinistra della cappella c’è anche una lapide commemorativa di Cesare Colombi, eroe dell’Indipendenza italiana, morto «nei campi di Curtatone e Montanara il 29 maggio 1848».

L’Annunciazione del Valdambrino

Sulla grande vetrata della facciata, di Fiorenzo Ioni, è raffigurata la Vergine Assunta, contornata da angeli e santi. I santi sono: S. Giovanni Battista, S. Donato, S. Antilia e S. Agnese poliziana, patroni della città e della diocesi. Nei quattro pannelli alla base sono raffigurati Pio IV, che elevò Montepulciano a diocesi, nel 1561, e Giovanni XXIII, papa del IV centenario della diocesi; ai due lati il cardinale Giovanni Ricci, amministratore apostolico e primo pastore della diocesi e Spinello Benci, che gli successe nella responsabilità pastorale nel 1562.

Agli inizi del 2008 sono stati collocati sulla controfacciata del duomo due grandi tele recentemente restaurate, dipinte in origine per S. Biagio e negli anni ’50 sistemati nella chiesa della Stazione di Montepulciano. A sinistra della navata centrale, al di sopra della porta, è stato collocata una Crocifissione, attribuita ad Antonio Circi gnani, detto il Pomarancio. Dell’opera parla la visita pastorale del 1610, al tempo del vescovo Ubaldini. A destra della navata centrale, al di sopra della porta, è stata collocata invece la grande tela di S. Giorgio che uccide il drago, firmato Angelus Righius (Angelo Righi, 1603). Anche quest’opera era stata dipinta per S. Biagio ed era collocata a destra dell’altar maggiore; era stata commissionata dalla famiglia De Nobili. S. Giorgio è raffigurato anche in una statua a destra dell’altar maggiore di quella chiesa, perché il miracolo attribuito alla Madonna di S. Biagio avvenne, per tradizione, nel giorno della festa del Santo cavaliere cristiano.

Volgendo le spalle alla vetrata e incamminandoci per la navata possiamo vedere, nei primi due pilastri a sostegno della volta, due sculture in legno dorato raffiguranti la Vergine annunciata e l’Angelo. Sono attribuite a Francesco di Valdambrino, illustre scultore senese del XIV secolo. Nell’abside, al di sopra del Coro, è collocato il maestoso organo, di Filippo Tronci, costruito fra il 1837 e il 1838. Pervenuto sostanzialmente integro, è ammirato dagli studiosi di tutto il mondo ed è ancora ben funzionante. Sull’occhio della cupola che guarda a sud è stata collocata nel 2007 una bella vetrata moderna di Gino Filippeschi, artista poliziano, raffigura la discesa dello Spirito Santo.

La sacrestia e il tesoro della Cattedrale

Nella sacrestia sono collocati alcuni ritratti di Santi e beati poliziani, fra cui uno notevole di S. Roberto Bellarmino; ad essi si ispirano anche le moderne vetrate della cattedrale. Nella volta c’è una grande tela di S. Agnese che tiene nella mano destra simboli che la identificano e nella sinistra la riproduzione della città di Montepulciano; risale probabilmente alla fine del Seicento, periodo in cui finirono i lavori della cattedrale e del palazzo vescovile.

Nell’attigua sala del Capitolo sono appesi i ritratti di tutti i vescovi poliziani, dal 1561 fino ad oggi, insieme ad altri ritratti di poliziani illustri, fra cui il poeta Agnolo Ambrogini, detto “Il Poliziano” (1452-1492). Nel tesoro, insieme al raffinato busto in argento di S. Antilia, esistono vari altri oggetti di notevole valore artistico, fra cui due candelieri di argento dorato e cristallo di rocca, probabilmente donati alla cattedrale dal cardinale Roberto Ubaldini, vescovo di Montepulciano, al ritorno dalla sua legazione in Francia, nel 1617.

Particolarmente interessante è un reliquiario di rame dorato, del XIV secolo, costituito da 24 finestrelle con anta chiusa da cerniere, montate su un alto piede, anch’esso in rame dorato. Su ogni antina è incisa la testa del santo, di cui all’interno si custodisce la reliquia.