Il Tempio di San Biagio

La Chiesa di San Biagio è meta di decine di migliaia di turisti che – calpestando pacificamente il prato – scorgono in essa un’oasi di pace. Esempio classico del Rinascimento italiano, con la magnifica Canonica che quasi vuole rubarle la scena (oggi sede delle attività pastorali e culturali della Parrocchia), il “Tempio” – come viene chiamato per via dell’imponenza e della presenza di elementi architettonici della classicità greca – vede ogni domenica riunita la comunità cristiana locale che vi celebra da sempre l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, accompagnando la vita di ogni fedele che qui è nato e cresciuto.

Montepulciano, se ha il suo monstratum figurativo nel grande polittico di Taddeo di Bartolo, datato 1401 –all’interno della Cattedrale della città – ha certamente il suo monstratum architettonico nell’immensa e imponente Chiesa di San Biagio, la cui costruzione è iniziata nel 1518, divenuta per volontà del Santo Padre Paolo VI – nel 1968 – anche santuario mariano della “Madonna del Buon Viaggio”.

La comunità poliziana ha celebrato il Giubileo della Chiesa che è divenuta icona della città nella Penisola italiana e anche all’estero, soprattutto oltre oceano. Cinquecento anni or sono, un umile pastore ebbe l’ispirata intuizione di costruire l’imponente edificio che oggi possiamo ammirare e che rientra, secondo il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, tra i “monumenti nazionali di prima fascia”. Papa Leone X – della famiglia fiorentina Dè Medici – volle che il progetto per la nuova Basilica Vaticana fosse avviato a Montepulciano, in quella città che si era mantenuta alleata con Firenze.

Auspichiamo che tutti coloro che varcheranno la soglia in travertino della Chiesa di San Biagio – siano essi turisti o pellegrini, credenti o non credenti – gustino la soavità e la linearità di un edificio sacro, molto caro alla tradizione cristiana, che nei cinque secoli della sua storia non è stato soggetto se non a poche e rare modifiche che ne hanno conservate intatte la bellezza estetica e l’efficacia stilistica. Non a caso – nel grande e centrale altare marmoreo, attorno al quale si sviluppa il complesso sacro – è iscritta quella frase cara ai Padri della Chiesa dei primissimi secoli dell’era cristiana: “Hinc Deus homo et homo Deus”. Da qui, da questo luogo, grazie alla bellezza increata, Dio può diventare uomo. E l’uomo – attratto dalla bellezza incarnata – diventa, inevitabilmente, come Dio: eterno! 

Il Giubileo concesso dal Papa

La Chiesa di San Biagio ha celebrato nel 2018 i cinquecento anni dalla posa della prima pietra, avvenuta esattamente il 15 settembre del 1518. Erano trascorsi infatti pochissimi mesi da quando “ad un batter di ciglia” la Vergine Madre, raffigurata nell’affresco collocato sull’altare marmoreo, “incantò” due giovanissime ragazze – si chiamavano Antilia e Camilla – aprendo e chiudendo i propri occhi. Per quel muro coperto infatti dai rovi e dalle sterpaglie, raffigurante Maria Santissima, sorse il bellissimo monumentum che oggi l’umanità può contemplare. In esso – opera del Maestro di Badia a Isola – possiamo scorgere la Sedes Sapientiae col Bambino [lei, seduta sul trono, diventa trono per il Figlio] in atto benedicente. Nel giorno liturgicamente dedicato a San Giorgio – il 23 aprile di quell’anno – si racconta che “due fanciulle le quali tornavano da lavare i panni…furono le prime che vedessero visibilmente questa gloriosissima Madonna la quale apriva e serrava gli suoi santissimi occhi”. Nel contempo, poco dopo, un bifolco – ossia un guardiano di buoi – di nome Toto “trovò uno dei suoi bovi…inginocchiato avanti a questa santissima immagine”. In quei giorni, raccontano le cronache, “defonti recuperarono la vita; si videro ciechi illuminati; stroppi raddrizzati; ossessi liberati, sordi recuperare l’udito, muti la favella et altri infermi guariti”.

Per tutti questi motivi quell’umile personaggio di nome Toto non esitò a offrire il proprio tempo per ri/costruire un magnifico edificio – mirabile in imponenza – dedicato a Maria Santissima, proprio nel luogo dove – nell’Alto Medioevo – sorgeva una Pieve dedicata alla Madre di Gesù. Come già ricordato, il 15 settembre 1518 venne posta la prima pietra dell’edificio. La comunità poliziana – cinquecento anni dopo – per ravvivare quell’evento miracoloso ha pensato di festeggiare solennemente tale ricorrenza chiedendo al Santo Padre Francesco, per mezzo del proprio Vescovo Stefano Manetti, la concessione di un Giubileo straordinario legato all’edificio rinascimentale. Il decretum è giunto dalla Santa Sede – esattamente dalla Penitenzieria Apostolica (l’ufficio più antico della curia romana) riportando la data dell’1 settembre 2017. In esso leggiamo che “A die III februarii usque ad diem XXV Decembris MMXVIII” è possibile lucrare l’Indulgenza Plenaria alle consuete indicazioni ecclesiali. La stessa Paenitentiaria Apostolica “de mandato Ss.mi Patris Francisci, plenariam benigne concedit Indulgentiam…christifidelibus vere paenitentibus…si paroecialem S. Blasii ecclesiam de Monte Policiano in forma peregrinationis inviserint…”. Dunque uno speciale tempo concesso ai fedeli che visitano, in forma di pellegrinaggio, la più alta Chiesa poliziana, al fine di conseguire la remissione totale della pena temporale, figlia dei propri peccati.

Il fonte battesimale “initium vitae”

Il fonte battesimale, in un edificio di culto cristiano, è uno dei tre elementi architettonici principali, insieme all’altare e all’ambone con il candelabro per il cero pasquale. Chi visita la Chiesa di San Biagio può subito notare tre fonti battesimali, diversi tra loro per grandezza e composizione teologica. Quello di destra, infatti, è il più semplice, ad indicare che – con molta probabilità – era quello meno utilizzato. A partire dal 2013 (dunque da pochi anni), lo stesso fonte, viene utilizzato per l’amministrazione ordinaria del Sacramento del Battesimo.

Nel fonte battesimale “di mezzo”, posto appena sulla destra della grande porta centrale, si possono scorgere – alla base – tre originari stemmi, di cui uno ricorda la parte committente e un altro quella esecutoria. La parte committente è rappresentata dal grifo, antico stemma della città di Montepulciano prima della “affiliazione” medicea avvenuta proprio durante il periodo rinascimentale. Esso è simbolo di custodia e vigilanza: per la sua posizione geografica la città del Poliziano vanta di poter custodire beni materiali e immateriali di inestimabile valore vigilando, nel contempo, sul territorio circostante essendo, essa, collocata sul monte tra Valdichiana e Val d’Orcia. Il grifo si trova anche a lato della porta del Comune di Montepulciano e alla base dell’altare marmoreo nella chiesa in oggetto. La parte esecutoria – ossia la Fabbrica di San Biagio, denominata anche Opera di San Biagio – ha riunito nel tempo tutte le maestranze che, soprattutto nei primi decenni del XVI secolo, si sono avvicendate per la costruzione del Tempio. Nello stemma posto alla base del fonte – il più grande – è scolpita la sigla OPA con affiancata una piccola stella, tutt’oggi argentea, a ricordare l’aspetto mariano dell’edificio di cui l’Opera si è fatto garante. Degno di nota è anche il terzo fonte battesimale, posto sul lato sinistro rispetto la grande porta centrale. All’interno della “vasca” contenente l’acqua benedetta si trovano due simboli profondamente teologici nonché propriamente battesimali: il serpente e il pesce. Il primo ha rimandi nell’Antico Testamento mentre il secondo nel Nuovo Testamento. Il serpente viene menzionato nella Torah, dove al ventunesimo capitolo dei Numeri leggiamo che l’aspetto salvifico ha il proprio sbocco nell’innalzamento del serpente di bronzo da parte di Mosè, quasi come una sorta di antidoto. E’ prefigurazione del Figlio dell’uomo – Gesù di Nazaret – il quale verrà innalzato sul legno della croce. Chi guarda il serpente innalzato viene salvato. Coloro che, per mezzo del Battesimo, guardano il serpente nel fonte, sono già salvati per mezzo del Sacramento iniziale. Il secondo simbolo, il pesce, viene detto nella lingua greca “Ictus”. E’ un acronimo formato dalle iniziali della frase greca “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”. Dunque il pesce è Gesù stesso che, salvato dalle acque mortali, per mezzo dell’acqua battesimale dona vita e salvezza.

L’ambone “monumentum resurrectionis”

Un secondo elemento architettonico, che mai deve mancare nelle Chiese, è l’ambone, “monumentum resurrectionis” per la tradizione cristiana e luogo monumentale dell’aula liturgica. Quello oggi presente in San Biagio – in legno semplice, quasi a riprendere il coro del presbiterio – è stato donato dalla Parrocchia di Sant’Agnese – che ha ricordato il settimo centenario della nascita al cielo della santa poliziana, meravigliosamente scolpita sul lato destro (la prima figura a lato dell’affresco) del centrale complesso marmoreo – alla Parrocchia di San Biagio in occasione del quinto centenario dell’edificio e nell’imminenza dell’apertura del Giubileo concesso da Papa Francesco. Collocato sulla destra del presbiterio, esso è icone dell’angelo che annuncia la risurrezione cantando l’alleluja pasquale. Il nostro ambone infatti non è semplice leggio ma “monumentum” vero e proprio dove il/la lettore/lettrice si erge per proclamare la Sacra Scrittura.

Il sostantivo “ambone” deriva dal verbo greco “ana/baino” che traduciamo con “salire” oppure “porsi in posizione elevata”. E’ il giardino del giorno di Pasqua, luogo elevato, stabile, ben curato e opportunamente decoroso. La nota della Conferenza Episcopale Italiana dal titolo “La progettazione di nuove chiese” dice particolarmente dell’ambone: “presenza eloquente, capace di far riecheggiare la Parola anche quando non c’è nessuno che la sta proclamando”. Quello che sosta oggi in San Biagio, a partire dall’anno centenario, vuole riprendere la forma monumentale tipica del bimah sinagogale dove, per gli Ebrei, la Parola ha importanza somma. L’ambone utilizzato a San Biagio – riprendente per forma e stile quello utilizzato dal Vescovo di Roma nelle celebrazioni pontificie all’interno e all’esterno della Basilica Vaticana – vuol rispondere ai dettami del Concilio Ecumenico Vaticano II dove viene auspicato che: “la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza”.

L’icona vitrea mariana vulgo dicta vetrata

Tra gli elementi che più affascinano il visitatore della Chiesa di San Biagio, certamente desta stupore e meraviglia l’icona vitrea realizzata nel 1551 – così come si legge direttamente su vetro – da Michelangelo di Cipriano d’Urbano da Cortona, posta sulla sommità del complesso marmoreo che riveste l’area presbiterale, fulcro dell’intero edificio rinascimentale. Raffigura la Vergine che si eleva al centro, sovrastata dal Padre Eterno, mentre in basso trovano posto sei personaggi. Fra questi facilmente individuabili e in posizione eretta sono a sinistra il profeta Davide, grazie alla cetra, e suo figlio, il profeta Salomone, che gli corrisponde all’estremità opposta, l’unico a reggere un libro in cui è riportato, ma solo parzialmente, il verso del Siracide: “Ab initio e[t] ante s[ecula creata sum]”. Sono riportati anche due passi di Isaia in altri due cartigli sulla sinistra: uno sulle ginocchia del profeta più avanzato, in cui compare il solo sostantivo “Virga”, da integrarsi con le parole “Iesse floruit”, l’altro ai suoi piedi: “Ecce virgo conci[piet]”. Nella parte destra dell’opera il personaggio che occupa il primo piano è rappresentato mentre scrive il verso tratto dal Cantico dei Cantici “Sicut lilium inter [spinas]”, mentre a terra un cartiglio riporta il passo di Numeri 24,17: “Orta est stella ex Iaco[b]”. Lungo tutta la parte inferiore della vetrata corre il verso “Necdum erant abyssi ego iam concepta eram” tratto dai Proverbi. Dal punto di vista letterale il soggetto di questo verso, come di quello di Siracide, è il logos divino, ossia la Divina Sapienza, e quindi entrambi starebbero a significare la sua anteriorità rispetto alla stessa creazione; nell’esegesi cristiana però la Sapienza, nella sua concretezza storica, è riferita a Cristo; tutte le citazioni quindi nell’interpretazione ufficiale della chiesa sono state riferite al Figlio, ad eccezione di quella del Cantico in cui la sposa protagonista di tutto il canto è stata allegoricamente interpretata come Maria, e di quella di Isaia relativa al concepimento del Messia (Cristo) da parte di una vergine (Maria). Il verso posto in posizione inferiore, ora recuperato grazie ad un recentissimo restauro, starebbe a sottolineare l’anteriorità nella mens divina della concezione di Maria rispetto alla creazione e allo stesso costituirsi del Male. Ella è stata concepita dal Padre, al pari del Figlio, ab aeterno, per essere inserita nel suo progetto di salvezza per gli uomini; questo le comporta prerogative d’ordine superiore rispetto alla semplice immacolatezza: l’attribuzione di una funzione co/redentrice, anche se subordinata nei confronti di quella del Figlio, e la capacità di mediazione fra il divino e l’umano; per questo i progenitori Adamo ed Eva sono sotto di lei; i suoi piedi calcano la testa del serpente tentatore, mentre al contempo ella è sospesa fra cielo e terra. Una Chiesa per Maria, costruita con pianta centrale, dove l’uomo viene esaltato e divinizzato in quanto “immagine e somiglianza” del Creatore. E Maria è, di questi, icona amabilissima e somigliantissima.