Sant’Agostino

La lunga vicenda costruttiva della chiesa di S.Agostino iniziò, tradizionalmente, nel 1285 quando il Vescovo di Arezzo, Guglielmo dei Conti Ubertini (diocesi a cui a quel tempo apparteneva la ‘terra’ di Montepulciano), benedisse con suo ‘Breve’ la pietra fondamentale della chiesa posta sotto al campanile, ed ebbe il suo epilogo sul finire del terzo decennio del ‘400, quando si giunse alla definitiva sistemazione dell’interno, del campanile e della parte inferiore della facciata in travertino.

Se è vero infatti che l’ultimazione dei lavori avverrà solo nel 1509, come riportato dalla iscrizione posta in facciata: DIVO. AUGUSTINO. SACRUM. OPERA. ET. FRATERNITAS. COEPTUM. JAM. OPUS. PERFECERUNT. A. D. MDVIIII, si può affermare con certezza, grazie alla lettura dei documenti dell’Archivio della Fraternita (antico ente comunale cui era demandata la soprintendenza sulla costruzione della chiesa e, successivamente, la sua gestione), che dopo il 1440 i lavori interessarono solo il terzo livello ed il timpano del prospetto principale.

La facciata in travertino fu infatti realizzata in due fasi ben distinte e distanti una dall’altra, non solo temporalmente, ma anche stilisticamente: il primo ed il secondo livello, il gruppo portale – lunetta con sculture in terracotta – cornice mistilinea ed il rosone risalgono al 1439-1440 e sono dovuti a Michelozzo di Bartolomeo, mentre il terzo livello ed il timpano sono stati costruiti ben settanta anni dopo, nel 1509. L’estraneità fra le due entità del prospetto appare evidente dal confronto fra il linguaggio dell’architetto fiorentino, che risponde ad una logica progettuale unitaria, e la realizzazione del terzo livello, ‘schiacciato’ fra il timpano e la parte sottostante, che riprende elementi e specchiature già presenti nel livello inferiore, ma li utilizza senza relazione ‘grammaticale e sintattica’ con la parte sottostante della facciata, tanto da farla apparire del tutto estranea a questa. Il contrasto è accentuato dalla scelta di utilizzare un travertino di tipo diverso rispetto a quello con cui fu realizzata la parte inferiore nel 1439.

Tornando alla parte bassa della facciata, ‘scolpita’ da Michelozzo, questa risulta compresa fra due grandi pilastri angolari corrispondenti al prolungamento delle pareti laterali dell’edificio e consta di due fasce orizzontali sovrapposte, idealmente collegate fra loro grazie ad una tripartizione verticale, che ha al centro il gruppo portale – nicchia – rosone ed ai lati due ‘specchiature’ sormontate da coppie di nicchie e dai tondi degli stemmi della famiglia Aragazzi, centrati, come le nicchie, rispetto alla parasta che divide le specchiature del primo livello. Orizzontalmente va segnalata la presenza di una fascia con motivo floreale che funge da basamento del primo livello e, fra il primo ed il secondo, di una trabeazione che ‘stacca’ fra la partitura già rinascimentale del piano inferiore, e le nicchie tardogotiche del piano superiore. La zona centrale dei due piani è occupata dal grande portale con strombatura decorata con fasci di fiori cui è sovrapposta la lunetta con lo splendido gruppo in terracotta, che è composto dalla Madonna con bambino, da S.Agostino e da S.Giovanni Battista: il tutto è concluso da una cornice mistilinea di sapore ancora gotico, con al di sopra un rosone. Una seconda e più sporgente trabeazione che taglia in maniera evidente parte del rosone e la punta dei pinnacoli michelozziani è posta a confine fra l’intervento quattrocentesco e quello cinquecentesco che comprende, come prima ricordato, il terzo livello ed il timpano con al centro il grande stemma dell’Opera e Fraternita di S.Agostino.

L’impianto interno originario della chiesa è quello tipico degli ordini mendicanti: una grande aula con ampie finestre vetrate sul lato destro, che presentava un “arco gotico” a delimitare il presbiterio con braccia sporgenti rispetto alla navata. Nel corso dei secoli la semplice aula mendicante fu oggetto di numerosi interventi: già nel XVI secolo furono aggiunte alcune cappelle “sfondate” sul lato sinistro della navata (poi demolite alla fine del XVIII sec.) ed il coro, oltre a numerosi elementi, in particolare altari anche sporgenti nel volume interno, arricchiti da opere scultoree e dipinti cinque e seicenteschi di rilevante qualità: il crocifisso di Antonio da Sangallo, la crocifissione di Lorenzo di Credi, le tele di Niccolò Betti, Bronzino, Nebbia da Orvieto. Furono gli agostiniani a spingere a più riprese per la radicale modifica architettonica dell’interno, come spesso accaduto anche in altre realtà mendicanti, ma riuscirono nel loro intento solo dopo la soppressione leopoldina della storica Fraternita avvenuta nel 1785. Grazie all’assegnazione temporanea dell’usufrutto dei beni dell’antica congregazione laicale, i frati riuscirono a sviluppare nell’ultimo decennio del XVIII secolo, un progetto unitario che, di fatto, accorciò l’edificio medioevale, eliminando il coro, le cappelle laterali ed i bracci del transetto, dando luogo all’attuale aula intonacata con pilastri a sostegno delle volte, che occlusero l’antico soffitto ligneo tardomedioevale. Nell’occasione fu realizzato l’organo, le cantorie laterali e si riallinearono gli altari. dalla ristrutturazione non furono esclusi nemmeno i locali a servizio quali la loggia murata versi Piazzale Pasquino, la sacrestia ed i locali adiacenti da cui si continua, ancor oggi, ad accedere all’antico coro cinquecentesco dipinto dal Barbiani nel XVII secolo.

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